Il messaggio dell’Arcivescovo Delpini e la celebrazione conclusiva del Giubileo ambrosiano

Che cosa hanno visto coloro che sono partiti come pellegrini di speranza? È da questa domanda che prende forma il messaggio che l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, rivolge ai fedeli ambrosiani in occasione della conclusione del Giubileo 2025.


I pellegrini hanno visto il Papa. Hanno salutato e pregato per papa Francesco negli ultimi mesi del suo ministero, accompagnandolo fino al momento intenso e commovente del funerale. Hanno poi pregato con papa Leone XIV, riconoscendo nelle sue parole e nei suoi gesti i segni di ciò che Dio continua a dire alla Chiesa e al mondo attraverso il suo ministero.


Hanno visitato le chiese giubilari della Diocesi, riscoprendo i segni della devozione antica e della fede dei padri, restituiti allo splendore di messaggi capaci di parlare ancora oggi alla vita e al pensiero. Ma ciò che più ha segnato il loro cammino è stata l’esperienza di “vedere” la Chiesa.


Una Chiesa dalle genti, fatta di folle multicolori che professano la fede in ogni lingua del pianeta, portando con sé fierezza e lacrime. Una Chiesa che apre le porte e dice: «Venite, siete attesi; venite, siete perdonati; venite, siete fratelli e sorelle». Una Chiesa che prega e cammina, giorno e notte.


I pellegrini hanno visto una Chiesa e uomini di Chiesa al servizio della parola della speranza e del perdono. Hanno incontrato sacerdoti dedicati al ministero della riconciliazione, capaci di farsi carico delle colpe e delle ferite delle vite sbagliate, per restituire libertà, rinnovare la gioia e annunciare l’indulgenza come dono di misericordia.


In questo cammino, molti hanno visto anche se stessi: la propria vita riconosciuta come amata da Dio e accolta nella Chiesa. Una vita perdonata e resa capace di amare e perdonare; una vita chiamata alla santità nelle scelte decisive e nello stile quotidiano. Una vita che diventa vocazione a rendere più umani i rapporti e più abitabile la terra.


Accanto a questi segni di luce, il Giubileo ha mostrato anche le ombre del nostro tempo. I pellegrini hanno visto uomini e donne, popoli e istituzioni indifferenti alla parola della speranza; responsabili delle sorti del mondo prigionieri di logiche di potere, segnati dall’aggressività fino alla follia della guerra; ricchezze che si accumulano senza misura mentre la povertà si fa disperazione.


Ora che il Giubileo si conclude, i pellegrini tornano agli impegni della vita quotidiana. Che ne sarà della loro speranza? Deporranno il cammino per rassegnarsi all’indifferenza, alle ingiustizie, alla violenza?


L’Arcivescovo risponde con fiducia: i pellegrini di speranza continuano a essere un popolo in cammino, perché la loro speranza non è ingenuità né sforzo volontaristico, ma è fondata sulla promessa di Dio e, per questo, non delude.


Questo stesso messaggio è risuonato domenica 28 dicembre, in Duomo, nella celebrazione conclusiva del Giubileo diocesano, presieduta dal Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, che alterna la sua omelia alla lettura di alcuni passaggi del messaggio dell’Arcivescovo, impegnato in questi giorni in viaggio missionario in Zambia, dove incontra i sacerdoti fidei donum della Diocesi.


Una liturgia ricca di segni accompagna la conclusione dell’Anno santo: dalla croce del Sinodo minore “Chiesa dalle genti”, che apre la processione, alla presenza delle confraternite e dei rappresentanti del Corpo consolare, fino ai canti del Magnificat e all’Inno del Giubileo.


Come ricorda monsignor Agnesi, «il male non ha l’ultima parola». Guardare al futuro è possibile, perché la speranza cristiana nasce dal Vangelo e continua a camminare nella storia, anche ora che il Giubileo si chiude.